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Somaliland, cos’è?

È un paese dove non c’è niente, piccolo poverissimo, del tutto arido. Non lo riconosce nessuno al mondo. È una terra di nessuno che emerge, come un tassello fuori posto, dal disordine globale dei tempi nostri, dove non esiste più nessuna regola che non sia quella della giungla dove vince solo e sempre il più forte.

Se ne parla — e se ne parlerà — perché il destino ha voluto che si trovasse proprio in uno dei punti di passaggio della nuova “via della seta” cinese. Questo posto è alla sommità del Corno d’Africa. Là dove l’Oceano Indiano, nella sua estremità occidentale si restringe per accedere al Golfo di Aden. Dunque zona altamente strategica, sia per il controllo delle merci che vanno e vengono dal Canale di Suez, sia per il controllo militare. Gli abitanti del Somaliland sono all’incirca tre milioni e mezzo, ma la cifra è una scommessa. La capitale, Hargheisa, conta meno del porto di Berbera, che si affaccia su un tratto di mare su cui si giocheranno molte partite economico-militari.

Anzi si può dire che già si stanno giocando molte partite nel momento presente, ed è per questo che occorre parlarne.

Tutto lo stato è ormai indipendente (per autoproclamazione) dalla Somalia, a partire del 1991, quando la guerra dell’Occidente contro l’Irak distrasse l’attenzione di molti e consentì ai più furbi di realizzare colpi di mano molto fruttuosi. La popolazione è quasi totalmente sunnita, a differenza di quella del paese che sta di fronte, al di là dello stretto di Aden, dove, a meno di trecento chilometri, è in corso una guerra all’ultimo sangue tra sciiti (gli Houthi, sostenuti dall’Iran) e i sunniti che sarebbero circa il 60% della popolazione (ma anche questo è un dato tutto da verificare).Così si spiega anche l’attenzione dell’Arabia Saudita, che bombarda da anni, sistematicamente, le aree sciite dello Yemen. E così si spiega anche l’attenzione degli Emirati Arabi Uniti che, carichi di petrodollari, si sono aggiudicati, per i prossimi 25 anni, una base militare a Berbera. E che, con la modica spesa di 440 milioni di dollari, gestiranno in prima persona il porto di Berbera per i prossimi 30 anni.

L’operazione, andata in porto tre anni fa, è assai più ambiziosa di quanto si potrebbe pensare se la si guardasse solo dal punto di vista commerciale. Essa prelude a un primo riconoscimento internazionale del Somaliland. Il primo interessato a questo sviluppo è l’Etiopia, che ha già aperto un consolato a Berbera e, in cambio, ha avuto la fetta del 19% del progetto di gestione del porto, insieme a un 30% concesso al governo di Hargeisa e al 51% degli Emirati Arabi Uniti.Questa ripartizione della torta rivela, senza possibilità di equivoco, la distribuzione del potere. Il Somaliland è già nelle mani degli Emirati Arabi Uniti. Prova ne sia che sia l’esercito che la polizia locale sono stati affidati, in custodia, agli istruttori degli Emirati e dell’Arabia Saudita che, a sua volta, sovraintende all’intera operazione, in atto ormai dal 2015.

Dietro i sette veli delle combinazioni azionarie s’intravvede anche la mano britannica. Che è quella della SCLGroup-Cambridge Analytica. La quale è ben presente sulla scena ma per interposta persona: la compagnia Dahabshili, ben installata sia negli Emirati Arabi Uniti, sia in Somaliland.

Niente di strano se visto sotto il profilo del grande casinò della finanza mondiale. Se non fosse che la Dahabshili è sotto sospetto per relazioni poco chiare che condurrebbero a rapporti di finanziamento del terrorismo internazionale.

https://it.sputniknews.com/opinioni/201901097073682-Somalia-povero-piccolo-via-della-seta/

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