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La televisione italiana (tutta) resta in mano a chi ce l’ha

Se c’è un aspetto che dimostra ampiamente come il governo giallo-verde non è il “governo del cambiamento” (almeno su alcune questioni di assoluta importanza primaria), questo è nella gestione del cosiddetto “passaggio alla tecnologie di seconda generazione del digitale terrestre”.

Di Giulietto Chiesa

Lasciamo da parte i termini astrusi: si tratta di decisioni strategiche di enorme valenza economica, politica, democratica, costituzionale.

La prima impressione che si ricava, cercando di districarsi nei meandri tecnici, è che nemmeno chi prende le decisioni politiche si rende conto di ciò che sta facendo e delle sue implicazioni. Mentre chi ne trae vantaggio e profitto (che sono poi quelli che tengono in mano le redini) ne è perfettamente conscio. Veniamo al dunque. Prima questione. Il governo ha in mano due pacchetti di frequenze (si chiamano multiplex) che servono a trasmettere quelli che il grande pubblico, ignaro di tutto, chiama “canali”.[1] Li deve “cedere in concessione”. E già vengono i brividi pensando alla Società Autostrade e al ponte di Genova. Ma cosa vuol dire “li deve”? Stiamo parlando di proprietà pubblica che lo Stato darà in concessione a qualcuno, di regola un privato. Segue la domanda logica. Può lo Stato alienare funzioni così importanti?
Non c’è la minima traccia di un ripensamento su questo punto. Ma almeno dovrebbe sorgere un’altra domanda: quale vantaggio ne ricava lo Stato, cioè la collettività? Nei due sensi possibili: quello di vantaggio economico e quello di interesse pubblico, democratico, affinché questi canali, una volta “concessi”, producano cose utili per l’istruzione, la cultura, la formazione, l’informazione collettiva dei cittadini, il loro senso civico e morale.
Vi risulta che di queste cose si stia discutendo? A me no. L’opinione pubblica non ne sa nulla. A quanto pare nemmeno i legislatori ne sanno nulla. O, forse, ne sanno qualcosa, ma preferiscono non parlarne. Ma lasciamo stare, per il momento, e fermiamoci sul vantaggio economico dello Stato. Quanto pagheranno (anzi hanno già pagato) i concessionari per ricevere queste “concessioni”?
Qui le norme introdotte, invece di favorire la concorrenza (e quindi alzare le entrate dello Stato), favoriscono gli attuali monopolisti della comunicazione. Cioè Mediaset (Elettronica industriale), Persìdera (70% Telecom Italia, 30% Gruppo Gedi), la RAI. In altri termini, invece di organizzare un’asta al rialzo, che li costringa a competere e permetta l’ingresso di altri acquirenti potenziali e produca maggiori entrate allo Stato, il governo (il ministero dello sviluppo economico) indice una gara in cui vincerà chi offre il prezzo più alto rispetto a quello fissato in partenza. Siccome non siamo nati ieri e sappiamo di essere di fronte a una banda di pescecani bene organizzati, capaci di ungere ruote e di mettersi d’accordo nel loro interesse comune (che non è quello pubblico) per dividersi la torta pagando il meno possibile, dunque, siccome sappiamo tutto questo, la prima domanda che sorge è questa: chi decide il prezzo di partenza? Sotto quali pressioni e spinte? Sotto quali “unzioni”?
Dalle cose fin qui dette si capisce subito che il prezzo di partenza sarà tranquillizzante, cioè basso. Si tratta di “garantire la continuità del servizio”; di valorizzare le esperienze maturate”; “tenere conto dei contenuti diffusi”. Tutto detto nella neo-lingua, “molto responsabile”, per “difendere l’occupazione. In sostanza queste fughe di notizie servino per far capire che chi già occupa le frequenze se le potrà tenere.
Sul terzo aspetto, quello dei “contenuti diffusi “chi oserà dire che fanno schifo, in gran parte? E che, giudicando la qualità dei contenuti diffusi, quei 20 multiplex dovrebbero essere tutti negati agli attuali concessionari, Rai inclusa? invece tutti “zitti e mosca”, come si diceva una volta. Il governo teme una ulteriore alzata di scudi. E non si accorge che è già il bersaglio unanime di tutto il mainstream, per cui, in realtà, non avrebbe nulla da perdere. Così, invece di attaccare, usando le leggi, nicchia e tace.
Così si continuerà come prima, con questa pattumiera di indecenze, di falsità e di manipolazioni. Per quanto riguarda le offerte sarà sufficiente un certo numero di telefonate tra gli attuali occupati di quello che una volta si chiamava “etere”, pubblici e privati (tutti appassionatamente avvinghiati tra loro a scapito dell’interesse pubblico). Per i piccoli non ci saranno nemmeno le briciole.
Un’occhiata ai costi. Attualmente un multiplex viene pagato dal concessionario circa 1,5 milioni di euro all’anno. Chi ne ha cinque spende dunque 7,5 milioni l’anno. Il cambio che sta per avvenire e di cui si discute ora — appunto il passaggio alla seconda generazione, la cosiddetta “banda 700” — illustra il tipo di regalo che i governi passati hanno fatto ai privati in questi decenni. Gli operatori telefonici (Vodafone, Telecom etc,) che occuperanno le nuove connessioni 5G hanno sborsato complessivamente oltre 6,5 miliardi di euro per accaparrarsele e ne fruiranno a partire dal 2022. Cioè pagheranno mille volte di più. Ma quanto pagheranno i tre capi-bastone uniti per i multiplex televisivi sarà mille volte di meno.
È già chiaro che le regole le fisserà quel campione di trasparenza che si chiama Agcom (l’autorità, si fa per dire, di garanzia, ultra-lottizzata tra i partiti e i giganti televisivi). I due multiplex di nuovo tipo — che saranno a disposizione per una concessione ventennale, varranno più del doppio, in termini di frequenze, di quelli attuali. E verranno suddivisi in quattro lotti. Già si indicano i criteri di “lottizzazione” in modo tale che i tre non si pestino i piedi l’un con l’altro. In modo che la torta venga suddivisa in parti uguali.

Tutto questo era scandaloso fino a ieri, con i governi di destra, di centro-destra, di centro-sinistra. Adesso scopriamo che il governo giallo-verde riproduce in fotocopia, per altri venti anni, lo stesso trucco. Qui i ponti non crollano, ma le macerie dell’ignoranza, della manipolazione di massa, dell’abbrutimento altrettanto di massa, che cadranno sui cervelli degli italiani, saranno perfino più micidiali. Mettere sotto processo per inadempienza contrattuale le imprese cui oggi regaliamo i cervelli degli italiani non sarà neppure possibile, per la semplice ragioni che noi non gli chiederemo nessuna garanzia. Faranno quello che hanno sempre fatto, impunemente. E il suicidio intellettuale e morale dell’Italia sarà firmato giallo-verde.

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