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Pino Cabras: l’intervista-farsa del Fogliaccio e il giornalismo banditesco

«Pino Cabras» e la cattiva arte dell’intervista: quando il frame viene prima dei fatti

Parola chiave: Pino Cabras

Che cosa è successo (e perché interessa)

Capita ancora che un’intervista non serva a far conoscere il pensiero dell’intervistato, ma a piegarlo dentro un racconto già scritto. È il caso — segnalato e contestato da molti lettori — di un colloquio firmato da Salvatore Merlo su Il Foglio con Pino Cabras, all’epoca deputato M5S. In quel pezzo (25 gennaio 2019) la conversazione scivola spesso in un botta-e-risposta ironico, con rilanci sarcastici dell’autore, e un forte accento su etichette e insinuazioni più che sulle argomentazioni politiche dell’intervistato.

Che Pino Cabras e Il Foglio abbiano incrociato le armi più volte è un fatto: dalla linea sul Venezuela nel 2019 fino alle polemiche del 2021-2022 su M5S, Ucraina e spesa militare, la testata ha dedicato vari passaggi (spesso critici) all’ex grillino. Questo contesto aiuta a capire l’“imprinting” editoriale con cui l’intervistato viene presentato al pubblico.

Le parole dure dei critici

In rete sono circolate valutazioni severissime: «ritratto del giornalismo banditesco», «fake news», «non è un’intervista: è un insulto al giornalismo, all’intervistato e alla verità». È un giudizio di parte e come tale va letto; ma segnala un tema reale: quando l’intervista diventa una gara di cornici retoriche, il lettore perde l’accesso alla posizione dell’intervistato — che dovrebbe essere lo scopo del genere.

Dove l’intervista deraglia: tre segnali d’allarme

  1. Framing ironico continuativo. La sequenza alterna citazioni di Cabras a chiose dell’autore che ne guidano l’interpretazione (“prudente ma…”, “tattica imperialista”, ecc.). È una scelta legittima in un commento, rischiosa in un’intervista, perché sposta il baricentro dal dire dell’intervistato al giudicare del giornalista.

  2. Domande-tesi. Più che domande aperte, molte sono tesi implicite a cui l’intervistato è chiamato a reagire, con l’effetto di irrigidire e semplificare il pensiero complesso.

  3. Selezione polarizzante. Si privilegiano passaggi che confermano l’immagine dell’intervistato come “irriducibile” su dossier controversi (Venezuela, poi Ucraina), riproponendo nel tempo lo stesso canovaccio narrativo.

Per onestà verso il lettore: dare il contesto (anche quando non conviene)

Una regola base del buon giornalismo: contestualizzare. Cabras — coautore di saggi con Giulietto Chiesa — ha espresso le proprie posizioni anche altrove, in formati meno conflittuali (es. interviste di quotidiani generalisti e apparizioni pubbliche). Rimandare il lettore a quelle fonti, oltre che all’intervista contestata, gli consente di ricostruire un quadro più completo.

Il punto non è la simpatia: è il metodo

Il blog non difende o attacca Pino Cabras per appartenenza. Il punto è il metodo. Un’intervista corretta:

  • espone la tesi dell’intervistato con fedeltà e completezza comprensibile;

  • separa con chiarezza domanda, risposta e commento;

  • evita etichette che sostituiscono gli argomenti.

Quando queste soglie saltano, la fiducia precipita: non perché l’intervistato “piaccia”, ma perché il lettore non riceve ciò che gli è stato promesso.

Invito alla lettura critica

Leggete integralmente il colloquio e fatevi un’idea vostra; confrontate i passaggi più discussi con altre prese di posizione pubbliche dell’intervistato. Solo così si misura la distanza fra resoconto e realtà.


Postilla

Nel pezzo del 2019 Il Foglio annota che Pino Cabras è «coautore di diversi saggi con Giulietto Chiesa»: è un dettaglio rilevante per i lettori di questo blog e merita di essere ricordato, al di là delle opinioni su singoli dossier. Anche questo è contesto — e il contesto è l’antidoto più semplice alla cattiva intervista.

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