Non ci sarà crisi di governo
Le due ultime, in ordine di tempo, elezioni regionali, quella di Calabria e quella di Emilia-Romagna hanno cambiato il quadro della situazione politica italiana. In molti sensi.
Ma i loro effetti si faranno sentire un po’ più in là nel tempo: precisamente dopo il referendum costituzionale di primavera (riduzione del numero dei parlamentari), dopo la tornata delle elezioni regionali, anch’esse in primavera e dopo gli Stati Generali del Movimento. Fino ad allora non ci sarà crisi di governo.
Ma il quadro non è più lo stesso. Il PD, che era il minore dei due partner, è diventato di gran lunga il maggiore. Il Movimento 5 Stelle ha subito il secondo tracollo elettorale, sostanzialmente uguale a quello subito nei confronti della Lega quando erano assieme al governo. Il peso reale delle due componenti del governo risulta invertito. Ma questo rovesciamento delle forze reali non ha rovesciato le dimensioni parlamentari delle due componenti. Per cui si è determinata una situazione paradossale: il più numeroso è ora il più debole.
Per il Partito Democratico la situazione è di grande vantaggio. Le sue posizioni guadagnano terreno. Ma il Movimento 5 Stelle è entrato in una gravissima crisi politica e rischia di spaccarsi, o di subire una crescente emorragia di deputati e di senatori. Se questa diventasse troppo grande, o addirittura si risolvesse in una divisione, la maggioranza potrebbe venire meno.
Saranno gli Stati Generali del Movimento a decidere questo dilemma, anch’essi in primavera.
Fino a quel momento entrambi i gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle resteranno immobili nel comune desiderio di non aprire una crisi che renderebbe inevitabili elezioni anticipate, le quali, a loro volta, significherebbero che la quasi totalità dei deputati e senatori del Movimento, uscirebbero di scena e non sarebbero più rieletti.
Sull’altro fronte c’è un dato che viene confermato dall’ultima tornata regionale: in questo momento la maggioranza parlamentare giallo-fuxia è minoranza nel paese. Infatti, se si fa la somma dei consensi delle tre destre esistenti (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia) è facile verificare che esse hanno più voti delle forze che stanno nel governo (Partito Democratico, Leu, 5 Stelle).
Uno che guardasse le cose dall’esterno direbbe: allora si vada a votare e si vada a un nuovo parlamento, che corrisponda a questo rapporto di forze. Invece non accadrà così. Perché ci sono molte forze, dentro l’Italia e fuori dall’Italia, che vogliono che questo governo resti al governo del paese.
In una parola: questo governo Conte-2 rassicura i potentati sovranazionali più dell’altro che scaturirebbe naturalmente da una vittoria delle destre riunite.
È un governo che non mette in discussione nessuno dei capisaldi del potere finanziario internazionale.
È un governo rigorosamente atlantico. È un governo totalmente subordinato all’attuale Unione Europea. E i poteri italiani, quelli che contano e che hanno in mano tutti i mass media fondamentali, sono tutti su queste tre linee. Un governo di destra non sarebbe sostanzialmente diverso, ma sarebbe probabilmente un po’ più turbolento sul fronte europeo. Dunque meglio non rischiare cambiamenti.
Tutto è dunque rimandato. Il mainstream ha prodotto, a uso e consumo della sua opinione pubblica, la tesi che Matteo Salvini è stato sconfitto dalla “citofonata”, e che ha esagerato, finendo per nuocere a se stesso. In realtà la conta dei voti in Emilia e Romagna dice che Lega e Fratelli d’Italia (anche se a spese di Berlusconi) hanno ottenuto un notevole successo pur avendo perduto la gara per il Governatore della Regione.
Salvini continua ad essere il leader indiscusso della destra come capo della Lega, che si conferma come il primo partito italiano, ormai in grado di competere molto da vicino con la ex sinistra comunista perfino nelle regioni ex rosse.
Il Partito Democratico è stato salvato dal crollo dei 5 Stelle e da quella mezza operazione di ingegneria politica che passa sotto il nome di “sardine”. Entrambe le cose restano però anch’esse sospese a mezz’aria e non cambiano il trend nazionale di una destra che avanza sotto la virulenza del comunicatore numero uno, cioè di Matteo Salvini. Che non è certamente politically correct — e questo fa rabbrividire molti benpensanti di sinistra — ma corrisponde a un’altra opinione pubblica, a quanto pare più numerosa, che parla ormai un altro linguaggio e che è sempre più impermeabile ai linguaggi della casta e del mainstream. E molti di coloro che seguirono i “vaffa” di Beppe Grillo, quando sembrava rivoluzionario, adesso seguono Salvini. Se il Partito Democratico non riuscirà a consolidarsi approfittando di questa pausa, quando avverrà la resa dei conti sarà sconfitto.