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Italia sotto la mannaia

L’annuncio della Commissione — attraverso la presa di posizione del commissario lettone Dombrovskis — dell’avvio delle “procedura d’infrazione” a carico dell’Italia avrà l’effetto, secondo tutti gli esperti, di provocare un balzo verso l’alto dello spread.

Di Giulietto Chiesa

Questo è il risultato immediato, ben previsto del resto da Bruxelles. L’Italia, cioè, subisce un contraccolpo che potrebbe anche essere molto pesante, prima ancora che la schermaglia della “procedura d’infrazione” entri nella sua fase decisiva. L’imputato è già stato definito come tale, e i cosiddetti mercati ne tengono conto fin da ora.

Sotto un certo profilo si potrebbe dire che la Commissione Europea ha già tagliato i ponti alle spalle di Roma, rendendo più difficile o impossibile una ritirata ordinata. Ieri mattina il premier italiano Giuseppe Conte è andato in Parlamento per svolgere una “informativa urgente” sulla “bocciatura”, la cui sostanza è stata quella di ribadire che l’Italia continua ad avere fiducia nel dialogo con l’Unione Europea. Conte continuerà per qualche settimana, a parlare con il presidente della Commissione Junker, tendendo d’occhio il grafico dello spread e l’andamento dei sondaggi d’opinione tra gli elettori italiani, in attesa — timorosa o speranzosa, a seconda di chi sta a favore o contro il governo giallo-verde — che il panico cominci a serpeggiare tra i risparmiatori italiani.
Il vice-premier Matteo Salvini ha subito tagliato corto dicendo che “passi indietro” sono esclusi. Mentre il suo alleato apparente, l’attuale Presidente del parlamento Europeo, delfino designato quasi ufficialmente da Silvio Berlusconi, Antonio Tajani, ha lanciato la minaccia: “se non si cambierà la manovra, bisognerà cambiare il governo”. Che conferma il proverbio antico: dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io.

Italia sotto la mannaia

C’è ancora tempo, tuttavia, prima del precipitare inesorabile della situazione. Le tappe della procedura d’infrazione sono comunque complicate. La Commissione deve concedere il tempo necessario per una ulteriore correzione della manovra. Lo farà con una nuova “raccomandazione” a ridurre la previsione del deficit all’interno dei parametri che potrebbero consentire, secondo Bruxelles, la riduzione del debito. Questo significa che il governo avrà ancora un arco di tempo da tre a sei mesi per rispondere alla “raccomandazione”. Il che significa a sua volta che, nell’ipotesi più lunga, si arriverebbe praticamente alla vigilia del voto per il rinnovo del parlamento Europeo, previsto e indilazionabile per il maggio del 2019.
Chi ne trarrebbe vantaggio, in un prolungamento dei tempi, non è però del tutto chiaro. Da un lato il governo italiano resterebbe a lungo sulla graticola dell’incertezza, sottoposto all’offensiva dei mercati, ed esposto al logoramento mediatico.

D’altro canto la Commissione Europea teme di essere accusata di aver voluto provocare una crisi politica in un paese membro dell’Unione così importante come l’Italia; crisi che potrebbe terminare con una elezione anticipata dalla quale — stando ai sondaggi — la Lega di Salvini potrebbe uscire come una trionfatrice. Preoccupazione fondata, perché entrambi i partiti della coalizione di governo potrebbero andare al voto attaccando Bruxelles per avere loro impedito di realizzare il loro programma di governo. Programma che i sondaggi attuali dicono incontrare il consenso di oltre il 60% dell’elettorato.

A decidere la rapidità del confronto tra Roma e Bruxelles sarà dunque l’Ecofin, un comitato di funzionari della Commissione e della Banca Centrale Europea che, in parallelo, dovrà fare i conti aggiornati delle variabili in discussione. I tempi dell’Ecofin sarebbero vincolati dalla scadenza del 22 gennaio. Ma potrebbero essere diversi, cioè più corti. Tuttavia va tenuto presente che questa verifica Ecofin non rallenterà, poiché non può influirvi, le misure punitive nei confronti dell’Italia.
Tra queste c’è il congelamento dei fondi europei destinati alla ricerca scientifica (già deciso dalla Commissione Europea per i problemi economici e monetari), e l’intimazione dell’obbligo di un deposito infruttifero dello 0,2% del Prodotto Interno Lordo (circa € 3,6 miliardi).

Cosa equivalente a dire che chi è in difficoltà dev’essere colpito prima che si possa rialzare: è la logica della competizione che domina l’Europa attuale.

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