È guerra la guerra delle tariffe?
Al G-20 della fine di giugno l’atmosfera sarà calda a causa del conflitto USA-Cina sulle tariffe. Donald Trump ha fatto una mossa tempestiva, “graziando” l’auto tedesca con il rinvio di sei mesi nell’introduzione dell’aumento del 25% dei dazi americani.
In questo modo si è conquistato un importantissimo alleato europeo contro la Cina. Ma per il breve periodo. Sul periodo più lungo anche l’Europa si troverà a mal partito.
Tuttavia il segnale è chiarissimo a si muove a 360 gradi. Nessuno potrà evitare il guanto di sfida americano. Le marche europee tutte, non solo quelle tedesche, mentre si apprestano a lanciare le loro nuove vetture, dovranno pensare sempre più velocemente a trasferire le loro produzioni negli Stati Uniti, specie in quelli del sud che interessano Trump. L’Europa perderà posti di lavoro e Donald guadagnerà i voti dei suoi elettori americani. Era la sua promessa elettorale e la sta mantenendo, sempre che i rapporti di forza mondiali glielo permettano.
Ma con la Cina, appunto, la faccenda si annuncia molto dura. Questa volta Pechino ha dato segnali niente affatto concilianti e gli ottimismi della maggioranza dei commentatori occidentali, che immaginano una resa cinese alla dottrina Trump, sembrano non solo poco fondati, ma del tutto sconnessi con la realtà.
Il Quotidiano del Popolo è organo troppo ufficiale per consentire una sottovalutazione della minaccia che recentemente ha lasciato filtrare: cioè che la Cina potrebbe mettere sul mercato parte delle sue riserve valutarie. Magari non lo farà, o lo farà soltanto a piccole dosi. Ma la Cina odierna non è più quella di dieci anni fa e non sembra incline a giocare d’azzardo. Se minaccia vuol dire che ha messo in conto la necessità di farlo, e di farlo subito. E le cifre che costituiscono la posta in gioco sono gigantesche (quelle che si conoscono, e non è detto che siano solo quelle). I certificati di credito USA attualmente in mano cinese sono oggi di circa 3 trilioni di dollari (tremila miliardi), due terzi dei quali sono cash.
Vendere in grande quantità i treasuries sarebbe negativo anche per la Cina, visto che al momento la quasi totalità dei suoi contratti è ancora denominata in dollari, ma è certo che i mercati si accorgerebbero subito della novità e un brivido di terrore volerebbe su tutto il pianeta: la tenuta del dollaro ne risentirebbe immediatamente in ogni caso. Inoltre che se ne farebbe la Cina di quei dollari venduti? Comprerebbe oro. E questo provocherebbe una seconda ondata di panico, non meno devastante per i mercati del dollaro.
Il che, tra l’altro, è già in atto, e ha coinvolto la Russia. Cina e Russia non si sono presentate alle due ultime tornate di vendita dei certificati di credito americani. Non accadeva da una decina d’anni. Anche questa mossa dei due “nemici principali” (si veda il recente documento sulla difesa strategica del Pentagono) costituisce un segnale d’allarme molto rumoroso. Il debito americano è dell’ordine dei 25 trilioni di dollari. Che fare per tenere in funzione gli equilibri? A quanto pare le scelte della Federal Reserve non sono molte. Si dovrà “stampare” di nuovo dollari, e su dimensioni non inferiori a quelle del quantitative easing che era stato appena abbandonato. Cioè si dovrà comprare il debito americano con dollari fiat per assorbire le vendite cinesi.M quanto può durare? Se l’Europa continua a rimanere appesa, come un impiccato, alle decisioni americane, la Cina non farà altrettanto. Xi Jinping ha già lanciato la “globalizzazione cinese”, ed è entrato di forza in conflitto con quella americana. “China First”, proclama, e lo fa polemizzando con Samuel Huntington che aveva preconizzato lo scontro di civiltà. La Cina vuole dominare e pensa che potrà farlo senza scontro.
“America First”, proclama Donald Trump, facendo capire che la legge americana sarà la legge di tutto l’Occidente, se non del mondo intero. E, mentre lo dice, fa capire che non gl’interessa più la guerra in Afghanistan e quella in Siria, e perfino quella con l’Iran: gl’interessa esportare merci e non più dollari. Ma dovrà convincere Wall Street e il Pentagono per realizzare questo disegno.
E, se la Cina tiene duro, il dollaro potrebbe cominciare ad essere meno appetibile di quanto non sia oggi. Cosa che favorirebbe le esportazioni americane. Chissà che non sia questo il vero scopo della guerra tariffaria che Trump stesso sta scatenando.
Una guerra che, però, alla Cina non piace affatto. Questa guerra di tariffe diventa sempre più simile a un guerra vera. Non c’ ancora sangue sul campo di battagli, ma non c’è all’orizzonte nemmeno un segno di tregua. Una America decisa a imporre le proprie regole e la propria supremazia, ma divisa al suo interno sul modo, si trova di fronte a una Cina che corre veloce verso la conquista della propria.