Che ne è dei diritti umani in Europa?
All’assemblea delle Nazioni Unite dedicata ai diritti delle minoranze, che si è tenuta il 29 novembre a Ginevra, è emersa con grande evidenza la questione delle gravi limitazioni dei diritti umani nei paesi baltici e in Ucraina.
Tre membri dell’Unione Europea e un quarto paese che aspira a entrarvi, mostrano di ignorare, o di non voler rispettare, le norme fondamentali sulle cui basi venne fondata l’Unione. La situazione — è emerso dal dibattito — è particolarmente grave in Lettonia e Lituania, dove è in corso, in varie forme, una vera e propria offensiva dei poteri pubblici contro la minoranza russa. E non si tratta di vaghe minacce, ma di esplicito attacco alle persone che manifestano l’intenzione di difendersi dai soprusi. Il caso più eclatante riguarda l’ex capo di un partito di opposizione in Lituania, Algirdas Palezkis, ex vice sindaco di Vilnius, arrestato nell’ottobre del 2018 e tutt’ora in carcere sotto accusa di “spionaggio”, mentre proseguono le indagini.
In realtà per avere pubblicamente espresso dissenso sull’interpretazione degli eventi che precedettero la dichiarazione d’indipendenza della Lituania. L’opinione viene punita con l’uso di ogni mezzo. Palezkis non può vedere né moglie né figli, ed è tenuto in condizioni di totale isolamento, molto simili alla tortura. È c’è il caso, di Jurij Mel, da cinque anni incarcerato con l’accusa, non provata, di avere partecipato, come militare in servizio nell’esercito sovietico dell’epoca, all’eccidio in cui morirono 13 dimostranti attorno alla Torre della televisione di Vilnius.
Ma in Lettonia la situazione non è meno impressionante e ha tutti i sintomi di un rapido aggravamento.
Ad esempio nel marzo 2018 una manifestazione di genitori che protestavano per la cancellazione delle scuole dove l’insegnamento si svolge in lingua russa, (e si tenga presenta che il numero di “non-cittadini” , definiti “aliens”, nati in Lettonia, erano ancora, nel 2016, il 43% della popolazione). Ebbene, ne seguirono 11 arresti. I nomi di alcuni di loro sono ben noti in Lettonia: Vladimir Linderman, arrestato l’8 maggio, e rimasto in stato di detenzione per due settimane; Aleksander Gaponenko,, arrestato il 20 aprile, messo in manette e detenuto per oltre due mesi. Il processo nei loro confronti è ancora in fase istruttoria. Altri casi analoghi riguardano l’arresto di Oleg Burak, ex colonnello del ministero dell’Interno, rimasto in carcere per due mesi, e l’incarcerazione di Juris Aleksejevs, direttore di un portale Internet, che è stato chiuso, con decisione della magistratura, fino alla conclusione del processo, che non è ancora cominciato.
Il caso più clamoroso è quello che ha riguardato l’attuale deputata del Parlamento Europeo, Tatjana Zhdanoka. Che, sulla base di una legge del 1995, fu impedita di partecipare come candidata all’elezione del Parlamento nazionale. La decisione liberticida è stata confermata dalla Corte Costituzionale lettone, cui la deputata europea si rivolse. Si noti che una tale decisione della Corte lettone, giunse dopo che la Corte Europea per il Diritti Umani aveva (nel 2006) già definito come incostituzionale la legge ordinaria della Lettonia.
Dunque l’intenzione, del tutto evidente, fu quella di non rispettare la legge europea. Tatjana Zhdanoka venne privata del suo diritto a essere eletta in Lettonia, dopo e mentre essa aveva potuto esercitare il suo diritto di essere eletta in Europa. Con l’”argomentazione” che essa “continua a minacciare l’indipendenza della Lettonia”. Ma — si dirà — quali documenti hanno in mano le corti lettoni per sostenere un’accusa di tale gravità? Ila risposta è che l’accusa è stata sostenuta mediante l’asserita esistenza di un documento che non è stato mai reso pubblico per “ragioni di sicurezza nazionale”.
L’opinione pubblica europea non è al corrente di queste situazioni. I principali canali dell’informazione degli altri paesi ignorano del tutto ciò che accade nel Baltico (con l’eccezione dell’Estonia, dove l’atteggiamento delle autorità è stato e continua a essere relativamente più moderato). Ma la questione non è mai stata affrontata dalla Commissione del Parlamento Europeo per le libertà civili. Sebbene, per quanto concerne i diritti delle minoranze linguistiche, e i loro diritti nel campo soprattutto dell’educazione delle giovani generazioni, vi siano stati pronunciamenti di importanti e ufficialmente riconosciute organizzazione internazionali. Contro la discriminazione razziale si è già pronunciata (23 agosto 2018) una Commissione dell’Onu.
Incoraggiando cambiamenti positivi in Lettonia, altrettanto aveva fatto (il 7 giugno 2018) l’Alto Commissario per le minoranze nazionali dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Più di tutti si è pronunciata la Commissione del Parlamento Europeo per la Cultura e l’Educazione che, in una risoluzione del primo Marzo 2019, ha chiesto “la revisione degli ultimi emendamenti della legge sull’Educazione generale che si propone di eliminare l’educazione in lingua russa nelle scuole primarie della Lettonia e di ridurla nella scuola primaria”.
Tutto questo senza che si sia riusciti a ottenere nessuna delle modifiche richieste. Eppure il Parlamento Europeo e la Commissione potrebbero — e dovrebbero in base alle norme europee vigenti — costringere le istituzioni lettoni a uniformarvisi. Ma si guardano bene dal farlo.
Tutto ciò mentre in Ucraina — che aspira a entrare nell’Unione Europea a pieno titolo —, dove la stragrande maggioranza delle popolazione parla correntemente la lingua russa, l’insegnamento del russo è stato eliminato da tutte le scuole pubbliche del paese.